Elodie era distesa sulla dormeuse di seta bianca. Aprì gli occhi e fissò il soffitto sopra di lei. Sospirò di piacere e sconforto. Che cosa era quella malinconia che la tormentava? Alzò il braccio e sorseggiò il vino rosso dal calice, poi con delicatezza lo poggiò sul tappeto ai suoi piedi e si distese sul fianco. Elodie usava il letto solo per dormire, preferiva i divani per rilassarsi e la dormeuse per riflettere. Era la sua coperta di Linus. Era ciò che rimaneva della sua famiglia. Una vecchia dormeuse restaurata che non aveva più l’odore di Parigi, ma che era ancora in grado di donarle serenità. L’unico pezzo di valore in una casa essenziale, con mobili senza pretese se non la loro utilità. Aveva voglia di compiere un nuovo viaggio, però alcune mete presentavano incognite eccessive, pur incuriosendola. Più si sarebbe allontanata nel tempo più sarebbero aumentate le difficoltà di linguaggio. Avrebbe saputo cavarsi di impiccio in pochi secondi se le cose si fossero messe male? Einstein le aveva insegnato che anche pochi secondi potevano diventare infiniti!
Dove andare? Chi incontrare? Vagò nella fantasia nelle terre sconfinate dell’Arizona, lungo la grande muraglia dei mandarini, nella Britannia di Cesare, nel feroce inverno russo dei soldati di Napoleone. Nulla la ispirava. Era come se qualcosa dall’interno la chiamasse. Avrebbe potuto cambiare il corso della sua vita? Fino a questo punto l’universo parallelo si era rivelato coincidente con il passato, magari avrebbe potuto incontrare se stessa qualche anno prima. Rise all’idea che la sua coperta di Linus si stava trasformando in un lettino da psicoterapeuta. In fondo era solo un gioco, credeva fermamente nell’idea che il passato non può essere cambiato, tuttavia poteva lasciarsi andare ai sogni per una sera.
Vagò nella sua adolescenza, alla bulimia sessuale che l’aveva attraversata. Lei piccola in un mondo di grandi, era l’unico modo per essere accettata senza compatimenti o invidie. Aveva influito tutto ciò sulla sua identità attuale? Solo in parte, magari non l’avrebbe consigliato come condotta a un’ipotetica figlia, nonostante fosse stato divertente. Ripensò ai suoi studi, alle ricerche e al successo degli esiti. Se avesse voluto cambiare qualcosa sarebbe stato per guadagnarci di più. Il denaro non era mai stato importante e il suo essere diventata Xiane era un gioco e un travestimento per fare sesso senza pregiudicare i suoi lavori di ricerca. Era un po’ ipocrita, ne era consapevole. Ma una scienziata che adora farsi chiunque ha poca credibilità in un ambiente dove al posto dei neuroni ci sono falli e testosterone.
Doveva allontanare l’idea del sesso, non ricordava nulla di sgradevole se non quando era andata con quel porco di politico. Il vaccino contro l’Aids. Sospirò. Era la cosa giusta da fare se vi fosse stata davvero la possibilità di cambiare. Le aziende farmaceutiche prosperavano come non mai in un periodo dove la pan sessualità era diffusa a macchia d’olio. Passavano mesi senza vedere una pubblicità contro l’Aids, come se il problema non esistesse più nei paesi del nord del mondo. Il numero di infetti era di nuovo in crescita invece. Il passaggio dal sesso virtuale sul web a quello vissuto era facile come mandare un’e-mail, come scambiarsi un numero di cellulare.
Il suo vaccino avrebbe potuto salvare moltissime vite in Africa, in Europa, ovunque. Rischiava la vita ogni volta che accarezzava l’idea, avvilita dalla lentezza dei colleghi nel trovare soluzioni, dalla corruzione dei governi sotto il tiro delle multinazionali chimiche, dall’ottusità della chiesa capace di schierarsi anche contro l’educazione sessuale nelle scuole che avverte sull’utilità del preservativo.
Del resto che frega al papa se delle bambine partoriscono bambolotti viventi che non si cambiano o si nutrono con il pennino del Nintendo. Anzi sono nuove anime da battezzare, nuove vittime da catechesi e nuovi corpi da stuprare.
Sorseggiò il vino per sconfiggere l’amarezza che sentiva dentro. Avrebbe voluto accanto un uomo in quel momento. Immaginò che fosse inginocchiato accanto a lei, accennò ad alzare il bacino come se qualcuno le stesse sfilando gli slip. Avrebbe preso i suoi capelli tra le mani con forza e spinto tra le sue cosce, gli avrebbe ordinato di leccarla fino a divorare la tristezza, di penetrarla per riempire il vuoto. Allungò una mano accanto a sé. Tasto il tessuto serico del mobile, il bordo intagliato. La visione non la eccitò. Ciò che desiderava davvero era un uomo che riempisse gli spazi della dormeuse, mentre la avvolgeva in un abbraccio e le accarezzava i capelli. Un uomo come Roberto.
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